Essere capitano vuol dire molto più che essere un grande atleta, vuol dire tra le altre cose rappresentare un esempio per tanti, ricoprire il ruolo di leader dentro e fuori il campo di gara. Da anni la Nazionale Italiana di pesistica paralimpica ha il suo capitano indiscusso. Il suo nome è Matteo Cattini ed è nato il 17 luglio 1984 a Torricella Motteggiana, piccolo comune della provincia di Mantova.
Il 2 giugno del 2008, a seguito di un grave incidente motociclistico, subisce l'amputazione della gamba sinistra. Otto mesi di ospedale di cui quasi tre passati a letto, tre strutture ospedaliere diverse per una lenta riabilitazione. Matteo però è un combattente e riesce a trasformare quel momento drammatico in una nuova opportunità. Così, un anno dopo l'incidente, inizia a frequentare le palestre per riprendere tono. Sollevare pesi comincia a diventare una di quelle passioni che ti cambiano la vita. Matteo è bravo ed è portato per questa disciplina, tanto che nel 2010 si aggiudica la sua prima gara a livello nazionale. Inizia a sognare le Paralimpiadi perché, si dice, sognare in fin dei conti non costa niente. Invece nel 2016 alle Paralimpiadi ci va veramente. A Rio non ottiene la medaglia che ogni atleta spera e va fuori per errori tecnici ma poco importa, il cammino è iniziato. A oggi può vantare ben nove titoli italiani, cinque Coppe Italia in bacheca, diversi podi di Coppa del Mondo e un record personale che racconta di 172 kg sollevati nella sua categoria.
Dal 2018 divide la sua attività tra le palestre e gli uffici di Via Giulio Onesti a Roma, dove ha sede la Federazione Italiana Pesistica (FIPE). Dal luglio 2019 ricopre il ruolo di Ambasciatore dello Sport Paralimpico ma “la situazione che sta vivendo il nostro Paese, a causa della diffusione della pandemia di Covid-19, non mi ha permesso ad oggi di svolgere questo ruolo come avrei voluto”.
Insomma, tanta voglia di tornare alla normalità anche per continuare al meglio questo compito: “Non vedo l'ora di rincominciare – assicura – perché mi fa piacere far conoscere questo mondo. Ormai del nostro movimento se ne sa molto di più rispetto al passato, ma sono convinto che ci sia ancora molto da fare”.
Ma un capitano, dicevamo, lo è sempre, in ogni momento: “Già molto prima di essere investito di questo ruolo, precisamente dopo i Giochi di Rio 2016, ho iniziato ad incontrare le scuole, ho partecipato a videoconferenze ed è sempre un piacere enorme farmi promotore del nostro mondo. Tutt'ora faccio parte di Bionic People, associazione di Torino composta da persone con disabilità varie che hanno deciso di raccontarsi e mettersi in gioco”.
La voglia di far conoscere l'universo paralimpico nasce proprio dalla sua esperienza: “Nel 2008, quando ho subito l'incidente internet non era diffuso come lo è oggi, non potevo consultare YouTube e non sapevo bene a chi rivolgermi. Anche per questo trovo fondamentale mettere a disposizione degli altri l'esperienza maturata e cercare di avvicinare quante più persone alla pratica sportiva”.
Per fare tutto questo c'è bisogno di una spinta che parta dall'interno: “Sono da sempre una persona positiva. Dopo l'incidente mi avevano detto che sarei rimasto in carrozzina ma io ho sempre creduto di potercela fare . Ci ho messo sette anni e alla fine ho lasciato le stampelle e iniziato a camminare da solo. Negli ospedali ho visto tanta gente buttarsi giù anche per cose meno gravi della mia”.
Matteo è orgoglioso di quello che è e di quello che è diventato e non ha problemi nel mostrare la sua protesi e infatti “In città giro parecchi mesi all'anno in calzoncini. Molta gente non crede alla mia storia quando la racconto ma io voglio far capire che questo mondo, che a molti sembra tanto distante, in realtà è fuori la porta: anche per questo ho voglia di mostrare tutto, protesi inclusa”.
Matteo, come tanti sportivi, ha dovuto fare i conti con il rinvio dei Giochi Paralimpici Estivi di Tokyo e con sincerità esprime che “mi è dispiaciuto molto anche perché stavo attraversando un buon momento di forma, ma allo stesso tempo sono convinto che si sia trattato di una scelta inevitabile. Ora speriamo che per il prossimo anno le Paralimpiadi vengano confermate, sarebbe un vero dispiacere non poterle disputarle”.
Per il lombardo Tokyo 2020 rappresenterà la seconda partecipazione ai Giochi dopo quella di Rio 2016: “In realtà punto a prender parte a tre Paralimpiadi, o meglio, punto a tre Paralimpiadi come atleta, perché il mio obiettivo è rimanere in questo ambiente nel ruolo di allenatore”. Matteo ha già superato l'esame di tecnico di primo livello e aspira a diventare tecnico federale.
Tante le attività in cantiere ma anche tante quelle realizzate, tra queste un nuovo portale: “Il mio sito serve a spiegare tante cose di me, soprattutto vuol far capire alla gente che ci si può riprendere anche da una sfortuna come quella che è capitata a me, perché nella vita non si sa fin dove si può arrivare. I fin dei conti sono nato in un paese che conta circa 250 abitanti e oggi vivo a Roma, dove mi è stato offerto un lavoro nella federazione per la quale gareggio”.
A 36 anni, Matteo è pienamente soddisfatto della sua vita e “ogni tanto qualcuno mi domanda se della mia vita rivorrei tutto, incidente compreso. Devo dire che è sempre difficile rispondere a questa domanda ma è vero che senza quell'incidente non avrei mai vissuto tutto questo, non avrei mai preso parte a una Paralimpiade, non avrei mai conosciuto tante persone e non mi sarei molto tante soddisfazioni a livello sportivo. Quello che posso dire è che la vita mi ha dato tanto”.