Alla prima riga della pagina di Wikipedia a lui dedicata c'è scritto: ‘Vincenzo Boni è un nuotatore italiano'. Qualche riga più sotto, oltre ai tanti successi in campo sportivo, si parla di un altro titolo a cui il trentaduenne napoletano risulta particolarmente legato: ‘Ambasciatore dello Sport Paralimpico'. Già, perché tra le tante soddisfazioni della carriera professionale di Vincenzo c'è quella di ricoprire il ruolo di testimonial di un mondo, quello paralimpico, di cui a oggi è una delle espressioni maggiori. Vincenzo rappresenta senza dubbio il volto di un movimento che vuole cambiare in meglio la percezione che la società ha del mondo della disabilità, e intende farlo attraverso un'immagine nuova e positiva, quella di un ragazzo poco più che trentenne che nella vita ha raggiunto tanti e importanti traguardi - umani, sportivi, professionali - e continua a farlo col sorriso di chi sa superare gli ostacoli con una buona dose di ottimismo.
In bacheca, Vincenzo Boni vanta un bronzo ai Giochi Paralimpici di Rio 2016 nei 50 dorso S3, due argenti e quattro bronzi iridati - vinti tra Glasgow 2015 e Città del Messico 2017 - e quattro ori europei, di cui uno ottenuto a Funchal nel 2016 e tre a Dublino nel 2018. A questi si aggiungono qualcosa come trenta titoli italiani tra campionati in vasca lunga e corta.
L'atleta campano sa che essere nominati Ambasciatori è il risultato di un percorso che nasce da lontano: “Se sei stato scelto è perché hai raggiunto risultati importanti ed è questo l'aspetto che mi rende particolarmente fiero. E' qualcosa di prestigioso ed è un ruolo che cerco di interpretare al meglio, preparandomi con grande attenzione a ogni appuntamento cui vengo chiamato in causa. Quando arriva una mail in cui si richiede la presenza di un Ambasciatore mi candido sempre, perché mi piace portare la mia testimonianza, adoro viaggiare e incontrare gente nuova e - conclude Boni con orgoglio- reputo un grande onore vestire questi panni”.
Essere Ambasciatore significa confrontarsi con persone di tutte le età ossia “avere la possibilità di andare negli istituti superiori, nelle scuole medie, nelle scuole del CONI, confrontarmi con platee di persone anziane, partecipare alle giornate dello sport paralimpico e in ognuna di queste occasioni c'è sempre da parte mia massimo entusiasmo nell'affrontare queste esperienze. Ecco, finché riuscirò a mantenere alto questo livello di emozioni potrò ricoprire questo ruolo al meglio”.
Ricoprire questo ruolo al meglio vuol dire anche sapersi rapportare con le persone a seconda dell'età: “Sicuramente riesco a immedesimarmi meglio con i giovani, capisco maggiormente il loro punto di vista, anche perché fino a non molto tempo fa anch'io occupavo i banchi di scuola. Diciamo che in loro vedo un pubblico amico anche se non sempre molto coinvolto. Al contrario, alle volte mi capita di parlare a platee di gente più anziana che mostra una partecipazione maggiore”.
Insomma, si impara a capire che non sempre si può avere la piena attenzione “ma se la butto in amicizia, se riesco a capire come devo comportarmi, se faccio qualche battuta e tiro fuori racconti o aneddoti divertenti allora quasi sempre riesco a portare la gente dalla mia parte, poi se mi trovo in Campania è ancora più facile perché butto lì qualche parola nel mio dialetto e vedo che la gente mi segue con ancora più coinvolgimento”.
Con Vincenzo capisci che sei di fronte a un campione vero perché un atleta del genere lo vedi prima che dai risultati dalla mentalità, che è poi è quella di chi non si accontenta, di chi sa riconoscere i propri sbagli e ripartire da lì: “Il rinvio dei Giochi di Tokyo è stato qualcosa che tutti ci aspettavamo. Per quanto mi riguarda la considero una cosa positiva perché venivo da un blocco psicologico dovuto a un Mondiale in cui non avevo gareggiato all'altezza delle mie possibilità. Un blocco che mi sono portato appresso per troppo tempo. Entravo in acqua e non mi sentivo come potevo sentirmi prima di Rio. Questa situazione l'ho vissuta fino a maggio, poi a settembre qualcosa è cambiato, ho cominciato a rispecchiarmi in quella voglia e in quella fame che avevo prima di Rio. In poche parole, il rinvio delle Paralimpiadi mi ha permesso di fare reset e mi sono convinto che non poteva e non doveva essere un singolo episodio a determinare la mia carriera. Ora riesco ad affrontare gli allenamenti con maggiore serenità”.
Una Paralimpiade è un sogno da vivere a 360 gradi: “Ancora oggi, dei Giochi di Rio, ricordo il grande coinvolgimento di tutto il team. Tutti partecipavano con entusiasmo, dallo staff alla segreteria a ogni singolo dipendente che componeva la nostra delegazione”.
Sensazioni che il ragazzo napoletano vorrebbe continuare a vivere anche al termine della sua carriera di sportivo: “Per il futuro mi piacerebbe poter vivere l'emozione di una Paralimpiade in veste di CT o di vice allenatore e rimanere in questo ambiente”.