Para taekwondo. Antonino Bossolo: “La medaglia che mi dà i brividi è quella che devo ancora vincere”
Para taekwondo. Antonino Bossolo: “La medaglia che mi dà i brividi è quella che devo ancora vincere”
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“Lo sport mi ha cambiato la vita, sembra una frase fatta ma è proprio così. Se prima mi vergognavo del braccio sinistro che non è cresciuto come il destro, ora è una mia caratteristica, è la condizione che mi fa rientrare per esempio nella categoria K44, dove sto raggiungendo i miei traguardi sportivi”.
A parlare è Antonino Bossolo, palermitano classe '95, l'uomo da battere nel taekwondo tra i colleghi normodotati, quando ha vinto un Campionato Italiano che ancora doveva nascere la versione paralimpica della disciplina, e ora tra chi ha una disabilità. K44, ultimo gruppo nella scala che parte dal 41, che include ‘atleti con amputazione monolaterale sotto il gomito o equivalente', è la classe riservata agli atleti meno disabili - racconta Antonino.
Lui il dobok bianco candido lo indossa da quando aveva 11 anni e la mamma lo aveva spinto a fare altro dal calcio, per cambiare aria. Magari il taekwondo, perché no, visto che c'era una palestra vicino casa, a Casteldaccia nel palermitano.
“Appena indossata la divisa e provato a tirare calci e pugni, me ne sono innamorato. Per il fatto che fosse uno sport individuale, rispetto al calcio. Ogni merito era il mio, come ogni sbaglio. Mi piaceva assumermi pienamente la responsabilità della mia prestazione”.
Da allora si divide tra palestra, studio e tempo libero, ormai davvero poco.
“Il nostro sport è fatto per il 90 % di gambe, per il 10 di braccia. Vietati i pugni in viso, consentiti quelli alla corazza, ma non fanno punto, per non discriminare chi non può colpire di braccia perché magari non le ha”. Insomma, è questione di agilità e volteggi acrobatici, in quest'arte marziale che è di culto nella tradizione sportiva coreana. Scopo del combattimento, accumulare punti segnati dal display elettronico, a forza di colpi all'avversario. Che indossa una vera e propria armatura, per attutire l'impatto: “oltre al dobok, abbiamo il caschetto e il para-denti, il para-piede con magneti, il para-tibia, la conchiglia per le parti intime, il para-braccio e i guantini. La corazza è elettronica, ha dei sensori che rilevano il colpo”.
Per esprimersi al meglio sull'ottagono di gara, gli azzurri affrontano stage di preparazione con doppia sessione di allenamento: “la mattina il lavoro è di tipo atletico, pesi, velocità, resistenza, respirazione. Il pomeriggio si passa al combattimento, si studia la tattica con gli sparring partner. Poi il giorno della gara, “mi concentro distraendomi, con la musica, estraniando i pensieri. Poi tutto è accelerato, tre round da 1 minuto e mezzo e in un baleno ti giochi posizioni di ranking. Alla fine siamo stanchi morti”.
Il primo Maestro a credere in lui, Elvezio Gurrado, poi col talento ne ha convinti facilmente altri: Ignazia Tripoli, Giovanni e Antonino Lo Dolce. “La mia prima medaglia cinque anni fa, d'argento al Campionato Italiano, quando ancora gareggiavo con i normo. E' stato quello il momento del mio riscatto, in cui ho preso coraggio e autoconsapevolezza che questa poteva essere la mia strada sportiva e professionale, non più solo un passatempo. Ed era anche il momento in cui stava nascendo il para taekwondo”.
Nel 2014 il debutto in maglia azzurra ai Mondiali di Mosca. “E' quella la medaglia che ancora mi emoziona, di bronzo, la prima, il podio che non mi sarei mai aspettato”. L'anno dopo è arrivato l'argento, l'anno scorso agli Europei di Sofia l'oro. “Ma la medaglia che mi dà più brividi è quella che devo ancora vincere, magari laggiù in Giappone, se riuscirò ad andare alle Paralimpiadi”.
Tappe di un'escalation vorticosa, quelle della carriera sportiva di Antonino. Rinforzato dalle certezze: l'amore della fidanzata ormai da sei anni, quello della famiglia, sempre la sua ombra.
La fiducia della Federazione Italiana Taekwondo, che su lui e tutto il gruppo azzurro paralimpico ha puntato da subito. Ora la vista è su Tokyo (la prima volta del taekwondo a una Paralimpiade) ma senza binocolo: “Ai Giochi sarà ammesso nel programma solo il kyorugi, la specialità del combattimento, non le poomsae (figure). E i giochi in realtà sono già fatti, vanno alle Paralimpiadi i primi 4 della ranking. Io nella K44 -61Kg sono attualmente 6°, davanti però ho due avversari turchi e ne va solo uno per Nazione, e un russo, che che non sapremo se sarà coinvolto nei casi di esclusione da parte della WADA, legata al doping”.
“Stiamo a vedere, se non riuscissi già così a rientrare, l'ultima chiamata sono i Campionati continentali a fine aprile 2020, da cui usciranno gli ultimi due atleti ammessi ai Giochi. Nel caso, vorrà dire che la conquisterò sul campo, la qualificazione, tanto come tutte le cose della mia vita, quelle importanti, me le sono sudate”.