Basket in carrozzina. Parla il coach azzurro Carlo Di Giusto, dopo la mancata qualificazione alle Paralimpiadi di Tokyo 2020

Basket in carrozzina. Parla il coach azzurro Carlo Di Giusto, dopo la mancata qualificazione alle Paralimpiadi di Tokyo 2020

Basket in carrozzina. Parla il coach azzurro Carlo Di Giusto, dopo la mancata...

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Solo quattro squadre si qualificavano alle Paralimpiadi di Tokyo, l'Italia è arrivata quinta e purtroppo ai Giochi 2020 dovrà assistere da casa. Come accaduto a Rio de Janeiro 2016, come a Pechino 2008. L'ultima partecipazione, a Londra 2012. Sembrerebbero scontati i fischi e le accuse, da parte di chi non ha assistito alle battaglie degli ultimi Europei di Polonia. Invece gli azzurri hanno sfoderato carattere e tenacia, in un crescendo che è culminato con un onorevole quinto posto.

E pazienza se qualche indisposizione, una carrozzina che si rompe sul finale del match decisivo, un gruppo di giovani in gran partealle prese con la prima qualificazione paralimpica, oltre alla carenza cronica di giocatori punti 2 e 3, hanno remato contro.

Non troviamo scuse, ma balzano agli occhi i passaggi positivi e incoraggianti per il futuro, di questo gruppo, che si è destreggiato tra squadre blasonatissime di professionisti, armati dell'esperienza e cattiveria necessarie.

“I ragazzi mi hanno dimostrato che possiamo giocarcela alla pari con tutta Europa, eccezion fatta per due fuoriclasse inarrivabili come Spagna e Gran Bretagna, finaliste e squadre di un'altra galassia, nel panorama europeo. Soprattutto, pur così giovani abbiamo avuto la tenuta psicologica che storicamente è sempre stato il punto debole della Nazionale”.

E' un Carlo Di Giusto lucido e obiettivo quello che analizza i passi compiuti in Polonia. Lui, da ragazzo giocatore poi carismatico coach azzurro, ci ha sempre messo la faccia e la firma, sotto le sconfitte e le vittorie dell'Italia sotto canestro. Queste ultime, la maggior parte: due ori agli Europei 2003 e 2005, il 6° posto alle Paralimpiadi di Atene 2004, l'8° ai Mondiali di Amsterdam 2006. Poi nel 2007 lascia la panchina per la mancata qualificazione a Pechino 2008. Nel 2016 torna a rioccuparla per rifondare una squadra competitiva a livello mondiale. Questo ha fatto col solito piglio, con fine acume tattico e capacità psicologiche, quelli che servono per dirigere e armonizzare un gruppo di giovani talenti. E rinnovando quasi completamente il roster. Arriva così il 7° posto agli Europei di Tenerife 2017, ora il 5° a quelli di Polonia.

Pensando a Tokyo che sfuma, si lecca le ferite ma senza rabbia, Di Giusto: “Puoi averla verso qualcosa che non controlli e accade all'improvviso. Ma non rispetto a un risultato che i ragazzi hanno conquistato con l'impegno che avevo chiesto loro, dando il massimo. Li ho visti crescere a ogni match”.

L'esordio prevedibile contro l'impossibile Gran Bretagna, campione del mondo, poi bene contro Austria, Polonia, Svizzera nel girone, dopo contro la Francia e di nuovo la Polonia, fino al quinto posto. “Solo contro la Germania la partita è stata pessima, sia dal punto di vista difensivo che come intensità. Ma con le altre, è stato punto a punto”.

Cinque vittorie e tre sconfitte, sul percorso: quella cocente contro una scaltra Turchia, campione europeo uscente, ha scolpito la delusione sul volto degli azzurri e sbarrato la strada a Tokyo. Sono stati l'inesperienza e un pizzico di sfortuna, ad aprire quel margine di scarto, pure minimo (58-63).

“Per l'oro e l'argento europei c'è ancora da lavorare, è chiaro - ammette Di Giusto-, ma centrando la partita con la Turchia il bronzo sarebbe stato alla nostra portata. So di avere ottimo materiale umano per arrivare tra le prime sei, in Europa. Di tutta la strada fatta in Polonia, metterei l'accento sull'ultima sfida contro i padroni di casa, sono stato felice di vedere una risposta dai ragazzi che non era affatto scontata. Dopo la batosta contro la Turchia, con una squadra fortissima di professionisti, come la Polonia (battuta 84 a 72), abbiamo fatto un bel gioco senza soffrire. Una grande match da punto di vista tecnico, quando invece temevo che avrebbero avuto il crollo”.

Riparte da qui, Di Giusto, appena riconfermato sulla panchina azzurra, che nei giorni scorsi non è mai stata in bilico.

“Sono felice di questa fiducia che la Federazione mi rinnova. So che questo è un progetto di medio-lungo termine, magari nel 2021 saremo sul podio. La grande soddisfazione in Polonia, sono le parole ricevute dagli staff tecnici di Gran Bretagna, Germania e Israele: si complimentano con l'Italia, la squadra che a loro dire è cresciuta più di tutti e ha un'età bassissima. Senza contare il peso politico del nostro movimento, a livello internazionale, dopo la nomina di Fernando Zappile a vice presidente dell'IWBF Europe".

Le criticità del movimento cestistico in carrozzina, però, restano, anche perché i tempi cambiano e le offerte sportive paralimpiche, per quanti abbiano una disabilità, crescono sempre più. “A differenza degli anni '90, quando questo era il solo sport di squadra per chi avesse una disabilità fisica, oggi esiste il sitting volley, c'è il rugby, il wheelchair hockey ecc. Per non parlare della miriade di sport individuali tra cui scegliere”.

Poi mancano i punteggi utili alle formazioni e alle rotazioni, in campo: “Purtroppo in Nazionale, ma la fotografia riguarda pure il Paese, scarseggiano atleti punti 2 e 3 – lamenta Di Giusto -: sono quelli con lesioni midollari medio alte, che lasciano una mobilità importante del busto, ma non l'uso di addominali. Poi scarseggiano persone con la spina bifida. Queste figure sono presenti in gran numero in tutte le squadre internazionali e fanno la differenza, sono decisive negli schemi di gioco. Per noi è un problema trovarli e soprattutto farli giocare a basket in carrozzina. Le nostre società del campionato giovanile sono per la maggior parte al centro-nord, mentre al sud, se si esclude Palermo, è complicato cominciare a giocare e occorre spostarsi. Ma i Camp di avviamento organizzati dalla FIPIC come a esempio il Candido Camp, per attrarre i bambini, servono proprio a questo, a sensibilizzare il territorio. Sono certo che presto queste esperienze daranno i loro frutti".

Serve spirito di sacrificio, dunque, e, una volta in campo, agilità nel muovere una carrozzina sportiva con il pallone tra le mani – ci vogliono 2/3 anni per imparare bene, ammette Di Giusto-. Si devono poter affrontare anche i costi di un mezzo di gioco, che nella versione basica, per iniziare, si aggira sui 1000 euro. “Ho dedicato la mia vita, al basket in carrozzina. E anche se ancora di strada da fare ce n'è tanta, sulla scena mondiale, finché l'entusiasmo è così vivo e la direzione da intraprendere chiara, farò la mia parte”.

La delusione azzurra

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