E' legata al capitano azzurro Francesco Messori, la storia di Renzo Vergnani, il commissario tecnico della Nazionale di calciatori amputati. Se non ci fosse stato lui che a 7 anni, su una gamba sola, pretendeva di giocare a calcio, oggi Renzo continuerebbe ad allenare la squadra di bambini nel suo club di calcio. E' cominciato così in Italia il movimento del Calcio Amputati, da una scommessa quasi folle a una immediata, fortissima fiducia reciproca.
Come comincia la storia?
"Quando è venuto al campo di calcio dove allenavo dei piccoli, era un bambino. Gli ho proposto di stare in porta con la protesi e la tuta, così si sarebbe mimetizzato. Un ‘imbucato', Messori, che quasi subito ha lasciato la tuta a casa e si è tolto dalla porta e ha sfilato la protesi. Voleva giocare in campo con le stampelle. Ed era pure bravino. A quattordici anni, mi dice che ha trovato una squadra con giocatori amputati trovati via Facebook così a Correggio, nel 2005, abbiamo fatto un evento di calcio integrato con partecipanti da tutta Italia. E' stato questo il principio della storia e di questo movimento”.
Cosa ha il calcio di speciale nel nostro Paese?
"E' fortissimo il messaggio di normalità che trasmette il calcio. Continuamente vengono a provare ragazzi che hanno subito l'amputazione di una gamba, sia ex giocatori che neofiti, con la voglia di provare, dicono: ‘Se posso di nuovo giocare a calcio allora non sono disabile'."
Ma quali differenze esistono rispetto al calcio tradizionale per normodotati?
"Lo sport è identico, ma i giocatori in campo sono 7 e il campo misura 60m x 40m, una porta 5m x 2m, tutto ridotto, ma il dispendio fisico è altissimo, a coprire un campo così grande con le stampelle si fa una fatica mostruosa".
La cosa più difficile da insegnare al gruppo
“Quella di essere atleti, raggiungere la mentalità di atleta, soprattutto per coloro che non hanno mai giocato a calcio prima o fatto sport di squadra in generale. Difficile, perché è uno sport molto faticoso che richiede grandi sacrifici. Poi portare tutti allo stesso livello di gioco, i principianti e gli esperti, e riuscire a motivare i primi a non scoraggiarsi, ché presto raggiungeranno i compagni”.
Come avvicinarsi al movimento?
“Anche chi non ha mai giocato a calcio prima può candidarsi a entrare nel gruppo, dipende dalla testa che hai e dall'impegno che ci metti. Alcuni ci sorprendono".
Il pubblico che vede una partita tra amputati per la prima volta come reagisce?
"Tutti quelli che ci scoprono, che capitano a vedere delle amichevoli, si stupiscono della nostra bravura e abilità".
Punti di forza della nostra Nazionale?
"Sono tutti bravissimi ragazzi, questo è quello che conta per me, al di à della prestazione agonistica. Ma posso dire che anche dal punto di vista tecnico possiamo giocarcela in Europa con chiunque".
Un ricordo mondiale, in Messico, l'anno scorso
"Una grande partecipazione, abbiamo superato il girone, poi siamo usciti per mano dell'Angola, che poi ha vinto il torneo".
Una squadra abbordabile, pensando ai prossimi Europei 2020? E noi che margini abbiamo fino alla data?
“Per esempio con la Gran Bretagna, che ai Mondiali del Messico l'anno scorso abbiamo fronteggiato alla grande. Il fatto è che non abbiamo una panchina lunga, noi, né io ho un vivaio molto grande in cui scegliere i giocatori o cambi di peso, rispetto ai titolari. Ci sono Nazioni in cui giocano atleti professionisti, a differenza di noi".
Il bello e il brutto di questa disciplina
"Il bello è riuscire ad aver creato non solo una squadra, ma un movimento vero e proprio, e interesse intorno a un progetto. E' nata una squadra, affiancata da uno staff d'elite, vice allenatori, medici, massaggiatori, preparatori atletici. Tutti volontari con i quali la squadra ha la possibilità di esprimersi al meglio. La più grande soddisfazione, essere ora una realtà che ha piena dignità, rispetto alle altre del mondo calcistico: il calcio a 5 per i normo, il calcio a 11, il calcio a 7 per amputati, il calcio a 5 per ipovedenti e ciechi. Il rovescio della medaglia è che c'è molto da fare, la strada è in salita e spesso piena di ostacoli, insomma gli sforzi quotidiani a volte non vengono pienamente riconosciuti e valorizzati".
L'approdo possibile nella FIGC è auspicabile o rischioso?
"E' stato il presidente Gravina stesso a parlarne ufficialmente, non è più un'indiscrezione. Certo che sarebbe un bene, in termini di visibilità, anche se la FISPES prodiga ogni sforzo e ci ha portati fin qui. E' importante però che sul processo di inclusione in una Federazione olimpica ci sia la giusta vigilanza, per non ottenere il risultato opposto a quello sperato, entrando dalla porta di servizio e restando gioco forza nel cono d'ombra".
Foto BIZZI