Tra qualche settimana prenderanno il via i giochi Paralimpici invernali di Pechino 2022, a cui prenderanno parte tre atleti piemontesi, che rappresenteranno l'Italia nel para ice hockey: Gabriele Araudo, Andrea Macrì e Gabriele Lanza.
Oggi conosciamo meglio Gabriele, 35 anni.
Prova a descriverti in due parole rispondendo a questa domanda: chi sei?
Sono il portiere della squadra piemontese dei Tori Seduti e della Nazionale italiana. Non ho scelto subito questo ruolo, all'inizio me l’hanno fatto fare per necessità, in quanto mancava nella squadra di Torino. Quindi in poco tempo mi sono ritrovato con i guanti nelle mani e il compito di difendere la porta e questo per un po’ mi ha dato qualche preoccupazione, ma poi ho iniziato ad amare profondamente il mio essere portiere. I primi allenamenti, non lo nascondo, furono un disastro; cercare di prendere confidenza con la slitta, mantenersi in equilibrio, governare il disco… un incubo! Ma piano piano, con caparbietà, volontà, entusiasmo e duro lavoro, i frutti sono arrivati, l'hockey è diventato lo sport che amo e mi ha regalato e continua a regalarmi grandissime soddisfazioni.
Come sei arrivato a essere chiamato per le Paralimpiadi?
È un percorso iniziato diversi anni fa, precisamente nel 2009, quando fui chiamato dal nostro allenatore Massimo Da Rin per un raduno nazionale a Cavalese, per una prima valutazione. Ricordo indelebile nella mia memoria. Ma devo partire da più lontano: nel 1987 ho avuto una mielite virale che mi ha privato dell'uso delle gambe. Io avevo 13 anni e da quel momento la mia vita e quella della mia famiglia sono radicalmente cambiate. Abbiamo dovuto confrontarci con la disabilità, il che alla fine degli anni '80 non era per niente facile. Ovviamente fare sport era molto complicato e poi sinceramente il primo pensiero era cercare di ritrovare una condizione di vita più simile alla normalità sotto tutti i punti di vista. Il riavvicinamento allo sport è stato casuale. Nel 2007, grazie a mio papà che seguì come volontario la Polonia ai Campionati Europei di para ice hockey che si tennero a Pinerolo. In quell'occasione conobbe Andrea Chiarotti, indimenticato e compianto Capitano della Nazionale italiana, e gli chiese informazioni su come praticare sport. Io, come molte persone tuttora, conoscevo l'hockey solo per nome, non sapevo nulla di questo sport. Ebbene, Andrea mi contattò e nel giro di pochi giorni mi ritrovai con lui e la squadra dei Tori Seduti sul ghiaccio del Palatazzoli.
Cosa significa per te rappresentare l'Italia alle Paralimpiadi?
Rappresentare l'Italia a una Paralimpiade, a un campionato del mondo o a un qualsiasi altro evento è un orgoglio indescrivibile. Da quando comincio a indossare la maglia della Nazionale nello spogliatoio la sento "viva", la sento trasmettermi tutti quei valori che essa rappresenta. È un onore che pochi hanno e che ho il privilegio di avere, dalla Paralimpiade di Vancouver del 2010.
Se dovessi dare un consiglio a un ragazzo o una ragazza che fa sport, cosa diresti?
Il mio consiglio è di fare lo sport che si ama. Impegnarsi e dare sempre il massimo di se stessi, sia nello sport che nella vita. Ma soprattutto farlo divertendosi. Perché divertendosi si riescono a superare le fatiche degli allenamenti, i sacrifici che si devono compiere per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Sinceramente non avrei mai pensato di poter partecipare a 4 Paralimpiadi, ma è proprio grazie a questa filosofia che si raggiungono questi traguardi, passo dopo passo.