Giulia Bellandi. Ambiziosa e ‘sfacciata’, la numero 1 della Nazionale sitting volley

Giulia Bellandi. Ambiziosa e ‘sfacciata', la numero 1 della Nazionale sitting volley

Giulia Bellandi. Ambiziosa e ‘sfacciata’, la numero 1 della Nazio...

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E' reduce dal Chiba Challenge Match 2019 in Giappone, chiuso con un magnifico 2° posto alle spalle della Cina, l'Italia del sitting volley rosa. E l'ascesa ormai è inarrestabile.

“Cosa è per me il sitting volley? Unione, condivisione, competizione. E grande divertimento”. Nata in una famiglia di pallavolisti, Giulia Bellandi non poteva che scegliere questo sport per lasciare un'impronta, ambiziosa come è, 9enne pedina fondamentale della Nazionale di sitting volley.

29 anni, toscana, pedina fondamentale della Nazionale di sitting volley, ha respirato la pallavolo nei discorsi a casa, annusando il pallone, forse il primo giocattolo, già a 10 anni quando arrossava gli avanbracci coi primi bagher. Poi ha trovato la sua posizione in campo, nel ruolo di palleggiatrice, scatti veloci e precisione. Grinta da vendere.

“Se non avessi fatto volley, forse giocherei a tennis, ho sempre avuto il rammarico di non aver provato, prima dell'incidente”, tant'è che l'idolo sportivo è Roger Federer. Ma in squadra è meglio, per lei che è “carismatica, leale, forte e positiva - vorrei che gli altri mi vedessero così”. Trascinatrice e sicura di sé, sulla maglia azzurra sfoggia fiera il numero 1 e nel palmares, oltre al quarto posto mondiale in esordio, vanta due scudetti col suo club, Dream Volley Pisa.

A 19 anni la caduta dal motorino e la perdita della gamba sinistra, ma per giocare a pallavolo servono soprattutto braccia, riflessi e grazie al sitting volley torna in campo con ancora più voglia. “Dopo l'incidente l'allenatore mi chiamava spesso per convincermi a giocare da seduta. Ho provato e mi sono divertita da subito. I primi allenamenti, poi tornei, poi il Campionato Italiano”.

Giulia non perde tempo in false modestie e punta alto da subito: “Ho capito che sarebbe stato il mio sport il 17 aprile 2015, quando è nata la Nazionale. Vestire quella maglia è stata ed è un'emozione fortissima, ma anche una grande responsabilità. Come mi chiamano le mie compagne? La stella del sitting”.

Ci è diventata piano piano, la palleggiatrice ‘numero 1' del team: “Rispetto a tre anni fa, ora mi muovo molto più velocemente sul campo, sono più sicura. Di questo sport adoro il fatto che sia identico negli schemi di gioco e nell'agonismo al volley. La cosa che meno mi piace è dover stare seduta, io che correvo sotto ogni palla, doversi muovere di gamba e braccia è molto più complicato”.

Di sicuro qualcosa migliorerebbe, in questa squadra azzurra: non le compagne, con le quali forma “un gruppo molto affiatato e unito, siamo tutte ex giocatrici e questo è un punto di forza”, ma la frequenza del gioco sì. “Abbiamo poche occasioni di giocare insieme, mi piacerebbe fare più amichevoli. Per ambire a giocare un giorno come gli USA, secondo me il team più forte del mondo”. Mentre, guardando in casa, “il mio idolo da sempre è Eleonora Lo Bianco, palleggiatrice dalle mani d'oro. Mi ispiro a lei dopo, ovviamente, che a me - scherza”.

Se arrivasse la qualificazione a Tokyo 2020, agli Europei di luglio, sarebbe un primo passo per diventare una stella del firmamento sitting volley. E come ogni volta Giulia ci metterà acredine e “sfacciataggine, serve soprattutto quella nella pallavolo, devi giocare sui difetti delle avversarie, oltre che sulle tue qualità. Ed essere pronta a reagire in modo fulmineo perché è molto più veloce della pallavolo”.

Elisa nell'ipod, film thriller al cinema e libri horror sul comodino, “il primo pensiero appena sveglia è quello di romperla, la sveglia, e dormire ancora un po'. L'ultimo prima di addormentarmi - gioca- è per la sveglia dell'indomani”.

Ma non chiamatela pigra, ha una vita piena zeppa di impegni, tra lavoro in banca e allenamenti. “Il tempo libero? Ad averlo, però lo spazio per uscire con gli amici a cena fuori lo ritaglio sempre, amo troppo la buona tavola”. Ma solo fuori competizione, “perché sotto gara ci segue un medico dietologo e non si sgarra”. Finita la partita, la ricompensa è a tavola: “portatemi sushi, lo adoro. Ne mangerei a chili”.

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