Giuseppe Campoccio, Ufficiale dell’Esercito: “La mia vita è tra le dita”

Giuseppe Campoccio, Ufficiale dell'Esercito: “La mia vita è tra le dita”

Giuseppe Campoccio, Ufficiale dell’Esercito: “La mia vita è...

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“Dico sempre che la mia vita è racchiusa tra le dita: il disco si fa ruotare con un dito, la frustata finale nel peso si dà con tre dita, il giavellotto si impugna tra le falangi. Ed è un volo, la vita, che va sempre più lontano”. Lancia seduto, ma questo è solo un dettaglio, conta la spinta che imprime all'attrezzo. E l'emozione che si libera: “Il getto del peso è liberatorio, immagino un'onda che si avvicina alla riva e si alza sempre di più, lenta nel caricamento che poi arriva e si infrange con potenza sugli scogli”.

La storia di Giuseppe Campoccio, Tenente Colonnello Ruolo d'Onore con incarico di atleta paralimpico, unico in Italia con questa qualifica e grado, è una storia di scelte forti. In gran parte consapevoli, ma anche inevitabilmente obbligate dal corso degli eventi. “La scelta di arruolarmi nell'esercito? Sono sempre stato un soldato, mio padre era un soldato, durante il separatismo altoatesino e il terrorismo degli anni '70. Essere ufficiale dell'esercito ‘al fronte' e rischiare di non tornare a casa la sera, erano tempi difficili”.

Aria respirata in famiglia, quotidianamente. “Ero genio guastatore alpino, quelli che aprono la via alla retroguardia, alla fanteria, avvicinandosi alla linea rossa di pericolo. E' un fuoco acceso, quello che arde per salvare il prossimo e la Patria, una chiamata che senti dentro, come i seminaristi, e devi rispondere”.Quelli che non conoscono paure ed esitazioni, si immolano a ogni passo sulla linea di confine. Finisce che durante il servizio, nel 1991, si ferisce gravemente e arriva il congedo per invalidità.

La vita ha un altro colpo di coda, per fortuna, e gli offre un nuovo futuro di altri onori e glorie.Ora il fuoco che brucia è quello della fiamma olimpica, è la voglia di sventolare ancora il Tricolore sui campi di gara. Il suo “compito istituzionale è portare la forza armata ai più alti fasti in ambito sportivo, con la mission di vincere”.

Il 2015 è il suo anno clou, nel bene e nel male. Entra nel neonato Gruppo Paralimpico della Difesa a gennaio, a giugno le prime gare agli Assoluti di Cassino. “Ero l'unico disabile tra atleti normodotati. Getto un peso da normo (7.260Kg, rispetto ai 4 Kg dei sitting), ma allora ero ancora in piedi. Arriva il quarto posto nel peso, due quinti posti nel disco e nel giavellotto. Il ragazzo ha stoffa, se ne era accorta Nadia Checchini, tecnico nazionale dell'atletica paralimpica, facendo una puntata al raduno del Gruppo della Difesa che, alla Cecchignola, stava avviandosi alle varie discipline paralimpiche. “Nadia resta colpita dal mio getto del peso grossolano, ma potente”.

Mai aveva lanciato prima, solo anni di pugilato e karate. “E per lavoro, l'addestramento di un reparto operativo come il mio richiedeva un certo atletismo e niente più, competenze su armi ed esplosivi, sul materiale che dovevamo maneggiare”. Invece lui ha “trasfuso la forza esplosiva degli altri sport nei lanci, scoprendo di essere assai competitivo”. La prima classificazione è F34, in base alle abilità residue post incidente di servizio.

Ad agosto un'infezione ossea gli porta una febbre altissima e una cerebrolesione. D'ora in poi starà seduto in carrozzina, atleta ‘sitting'. “Cosa è cambiato? Che il peso per quelli nella mia condizione è di 3Kg, non 4, per il resto il segreto è guardarsi allo specchio e accettarsi. Fare di necessità virtù e di un bastone per camminare, un vezzo, poi della carrozzina, un normale prolungamento delle gambe, un tutt'uno con te”.

F33 la nuova classificazione internazionale dell'IPC, nel 2017. Ma gli avversari quasi non ci sono: Giuseppe infila subito il bronzo mondiale nel peso a Londra, poi un oro agli Europei di Berlino 2018. Ora sarà in pedana a Dubai, per la consacrazione mondiale e il decollo verso i Giochi di Tokyo.

La strada dei trionfi è già tracciata e incisa a pelle, sono i tatuaggi che partono dalla spalla e hanno spazio fino al polso. Dopo quelli di Londra e Berlino, incrociando le dita dovrà inserire la medaglia mondiale di Dubai, poi quella di Tokyo 2020. Ma siccome è ambizioso, già ne immagina un'altra a Parigi 2024 e a Los Angeles 2028. “Non li do certo per scontati, questi traguardi, eh? Io lavoro, poi se la FISPES mi riterrà meritevole di partecipare, andrò. E se cerco la medaglia non è solo per me, ma perché è un feticcio che serve all'opinione pubblica per far parlare di me. E della condizione di tutti gli altri, così si accendono i riflettori su una realtà splendida come il paralimpismo”.

“Perché mi chiamo ‘Joe Black' sui social? - dal film ‘Il mio nome è Joe Black'- Semplice, anche io ho avuto i miei momenti bui, lui è la morte che si innamora a tal punto della vita e dell'amore, da non volerla più lasciare. Le tracce del nostro passaggio, possono regalarci l'eternità, io vorrò lasciare il segno sui campi di gara, aprendo solchi più lontano di tutti”.

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