Non era per nulla scontato che il 51enne Andrea Borgato, padovano di nascita e residenza e rodigino di formazione, riuscisse a qualificarsi alla sua quarta Paralimpiade consecutiva. Anzi a un certo momento, per problemi di salute, il suo compito pareva simile a una missione impossibile. A garantirgli il pass è stato il successo nel torneo che si è disputato a Pattaya, in Thailandia, e che metteva il palio un posto per classe.
Ciao Andrea, dopo le incertezze e i timori sulla tua salute, hai vissuto uno dei capitoli più entusiasmanti della tua carriera?
«Come ho già detto, commentando a caldo quel risultato, a Pattaya sono morto e resuscitato tre volte. Nel girone contro l’ungherese Adam Urlauber se avessi perso per 3-0 sarei stato fuori. Ho portato a casa il terzo set, annullandogli un match-point, e, anche se poi ho perso la partita per 3-1, sono passato al tabellone come secondo. Ho salvato sei palle di chiusura in semifinale al messicano Victor Eduardo Reyes Turcio e quattro in finale di nuovo a Urlauber. Sono stato bravo, perché, oltre al messicano, ho battuto nel girone il finlandese Timo Kalevi Natunen e nei quarti l’inglese Thomas Matthews, altri due avversari che mi stanno davanti in classifica. Sono andato in Thailandia, con la speranza di fare bene, ben sapendo che la forma non era ancora ottimale, ed è evidente che sono andato ben oltre le più rosee aspettative».
Cosa ti era accaduto l’anno scorso?
«Poco dopo aver disputato l’Open di Lasko, a giugno, ho avuto una grave infezione polmonare e sono stato ricoverato per un mese e a casa per un altro mese sono stato quasi sempre a letto. Sto ancora assumendo sei antibiotici al giorno. La cura è stata molto lunga e debilitante. Avevo preso un batterio, che si è sviluppato molto lentamente e altrettanto lentamente se n’è andato. Chissà da quanto tempo lavorava, mi ha prodotto un bel buco nel polmone destro. Sono stati molto bravi all’Ospedale Madre Teresa di Calcutta, a Monselice, a scoprire il problema e a curarmi».
Quando hai ripreso a giocare?
«Ho ricominciato a fare qualche allenamento a casa, dove ho una stanza con un tavolo montato, con il mio coach Emanuele Crivellaro a novembre e dicembre e il primo raduno è stato a gennaio 2024. Ho anche partecipato ai tornei a Lignano e in Spagna. Dopo ciò che mi è successo, l’essere riuscito a qualificarmi ha avuto un valore straordinario. Mi sono esaltato moltissimo, poi al rientro in Italia ho pensato che dovevo tornare con i piedi per terra e mi sono dedicato alla preparazione dei Giochi. Da maggio sono stato per la metà del mio tempo al Centro di Lignano Sabbiadoro, dove mi sono allenato per sei ore al giorno, e per l’altra metà a casa, svolgendo la sessione al mattino».
Alle tre precedenti Paralimpiadi ti eri sempre qualificato grazie al ranking?
«Esattamente. A Londra era tutto molto ben organizzato. In campo avevo perso due partite per 3-0, gli avversari all’epoca erano decisamente più forti di me. A Rio è andata meglio, perché ho superato il girone. Ho sconfitto per 3-1 lo svizzero Sylvio Keller e ho ceduto per 3-2 al britannico Robert Davies, che poi avrebbe vinto la medaglia d’oro. Nel tabellone mi ha eliminato nei quarti per 3-0 il coreano Joo Young Dae, che sarebbe andato in finale e sarebbe poi diventato campione a Tokyo. Dicevano tutti che era un disastro, perché avevano finito i soldi, ma a mio parere tutto è filato abbastanza liscio, anche se le distanze erano notevoli e il Villaggio era lontano dal centro. L’atmosfera mi era piaciuta, a eccezione della presenza massiccia dei militari per le strade. Pareva di essere in guerra. Abbiamo conosciuto anche, all’interno del Villaggio, dei volontari brasiliani di origine italiana molto simpatici e accoglienti. Con alcuni siamo ancora in contatto e ci facciamo gli auguri».
E a Tokyo?
«L’impianto era fantastico e anche il Villaggio era bello, purtroppo è stato tutto funestato dal lockdown. Un atleta svedese di classe 3 è risultato positivo a un controllo. In realtà la sua era una falsa positività e gli è costata la Paralimpiade. Io nel girone avevo prevalso sull’americano Michael Godfrey, seppur complicandomi un po’ la vita, e nei quarti, ancora una volta nella partita che valeva l’ingresso in zona medaglie, mi ha sbarrato la strada per 3-1 Matthews. Avevo anche avuto un set-point per andare alla “bella” e lo avevo mancato. Avevo giocato in maniera abbastanza conservativa e avrei potuto essere più incisivo».
Hai seguito le Olimpiadi di Parigi?
«Quando ho potuto sì e mi sono piaciute la ginnastica artistica e la ritmica e la pallavolo femminile. Le mie gare preferite sono i 400 piani e a ostacoli e le staffette 4x400 dell’atletica leggera e ho avuto qualche problema a seguirle. Sono un appassionato di sport e, tornando indietro, due degli spettacoli maggiori che abbia mai visto sono stati gli esercizi agli anelli con cui Jury Chechi ha conquistato l’oro ad Atlanta 1996 e il bronzo ad Atene 2004. Ogni tanto li riguardo, sono fantastici, un mix di forza, tecnica e armonia dei movimenti. Si vede che sono stati il frutto di moltissimo lavoro. Jury è anche un personaggio molto simpatico e in tv lo si ascolta volentieri».
Tornando alle Paralimpiadi, il coreano Joo Young Dae è il predestinato alla conferma del titolo di Tokyo?
«Lui è uno che sbaglia poco e ha pochi punti deboli, per non dire nessuno. Anche fisicamente è forte. Al suo attivo, oltre all’argento di Rio e all’oro di Tokyo, ha due secondi posti ai Mondiali, dove ha perso da due connazionali. Assieme a lui, vedo bene l’altro coreano Kim Hakjin e anche le altre due teste di serie, un po’ più indietro dal punto di vista tecnico l’ungherese Endre Major e da quello caratteriale il britannico Matthews. Potrà dire la sua anche l’altro inglese Robert Davies».
Ti senti di non partire battuto contro nessuno?
«Non sono il favorito, ma non auguro a nessuno d’incontrarmi. Non ho nulla da perdere e andrò in campo tranquillo. Forse dal punto di vista atletico a Tokyo ero più prestante, per ovvi motivi, però mi piace il modo in cui mi sto avvicinando a questo grande evento. Voglio rendere la vita difficile a chiunque mi troverò di fronte».
Cosa stai cercando ancora di migliorare nel tuo gioco?
«Il mio stile di gioco fondamentalmente è di piazzare la pallina ai lati del tavolo e vicino alla retina, con dei pallonetti che tornano indietro o escono dal tavolo lateralmente. Sugli scambi veloci sono meno forte, è però un aspetto che negli ultimi anni è migliorato e sento di avere ancora dei margini, pur senza snaturarmi, perché il tocco e la sensibilità rimangono qualità sulle quali continuare a contare».
Per come ti senti ora, guardi anche al dopo Parigi?
«Gli obiettivi non mancheranno, ci saranno gli Europei il prossimo anno e i Mondiali fra due, la classe 1 consente una certa longevità e vedremo cosa accadrà. I problemi che ho avuto non hanno messo a dura prova la mia passione, anzi mi hanno trasmesso un po’ di cattiveria agonistica in più».