Tiro a segno. Andrea Liverani spara tutte le sue cartucce, a suon di record

Tiro a segno. Andrea Liverani spara tutte le sue cartucce, a suon di record

Tiro a segno. Andrea Liverani spara tutte le sue cartucce, a suon di record

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Il bersaglio è entrato nel mirino di Andrea dopo un po'. Prima, a caccia di stimoli e di un nuovo benessere, ha bazzicato i campi da basket in carrozzina della Briantea 84, vincendo tre titoli italiani nel minibasket poi è passato per quelli di rugby in carrozzina della Polisportiva Milanese. Giochi di contatto fisico, giochi di squadra frenetici e adrenalinici.

Ma è il poligono di tiro che lo ha stregato, i rumori assordanti degli spari a fuoco, gli sbuffi dell'aria compressa, i minuscoli piombini e le cartucce. Sfide di precisione, a cercare la traiettoria e il buco perfetto, sempre più vicini al centro. Un fenomeno da subito. Il tesseramento con la UITS data al 2015, Liverani passa velocemente tutte le fasi di selezione per entrare in Nazionale paralimpica. La tappa iniziale del suo viaggio, carabina in spalla, è Hannover. Le prime gare fruttano i minimi di qualificazione alle gare successive, e via così in un'escalation che lo porta nel 2016 sul primo podio internazionale a squadra, con l'arma ad aria compressa e nel 2017 arriva la prima medaglia individuale anche nella carabina a fuoco.

Lo scorso anno alla World Cup di Chateauroux la consacrazione: due ori, tre argenti, un bronzo. Più il record del mondo della R5, cioè la carabina ad aria compressa a terra da 10m, e la slot per le Paralimpiadi di Tokyo nella R4, cioè da 10m in piedi (cioè in carrozzina, ma senza l'appoggio del gomito).

E pensare che al Poligono di Milano, la sua città, era andato “incuriosito dalla pistola - racconta-, poi invece mi sono innamorato della carabina perché è un'arma molto tecnica, con tutti i suoi mirini”. In tutto vanno sollevati 4 kg e mezzo, il peso dell'arma con tutte le componenti installate: molle, leve, percussori e un grilletto ipersensibile. “Quella che preferisco è la calciatura in legno che è leggera e assorbe meglio le vibrazioni. Nella mia categoria, SH2, però non si sorregge questo peso perché si spara appoggiati su un trespolo. Così compenso la lesione del plesso che ho riportato nell'incidente”.

A 20 anni un camion fa un'incauta conversione a U, Andrea fa di tutto ma non riesce a schivarlo. Il codice rosso lascia pochissime speranze. Invece passano tre mesi, lunghi come un'eternità, di rianimazione al Niguarda e sei operazioni chirurgiche, due di fissazione della colonna, e Andrea lentamente torna in pista, su una carrozzina e senza mobilità del braccio destro, ma poco a poco sempre più indipendente.

“E' incredibile come lo sport mi abbia restituito l'autonomia che avevo perso con l'incidente. Merito del basket in carrozzina: durante i primi allenamenti ero stupito dall'agonismo che vedevo in campo, oltre all'irrobustimento fisico che ogni giorno di più mi permetteva di essere indipendente ed autonomo”.

Al Poligono, tutto diverso: uno sport individuale, statico, di concentrazione e precisione. Adrenalina pura prendere la mira sul target, per non dire quando il piombino finisce dritto a perforare il centro, un pallino di 5mm lontano 10 o 50 metri. Se sono 50 metri, serve invece il proiettile.

“Non so raccontarlo, bisogna provarlo per capire – dice. La mia gara più bella? Sicuramente quella in Francia a settembre scorso – ricorda Andrea. Quella del record mondiale. E' arrivato con i tanti allenamenti e sacrifici fatti: quattro giorni a settimana sono riservati al Poligono di Monza, che frequento da un po' perchè risponde perfettamente alle mie esigenze, più piccolo e flessibile negli orari rispetto a quello di Milano”.Ci va dopo il lavoro di consulente della previdenza al Sindacato. Difficile incastrare tutto, “quando studiavo all'Università ero più libero, ovviamente, ora sogno di poter entrare, un giorno, in un Gruppo Sportivo militare, per dedicarmi a questa disciplina con la costanza che occorre”.

Nel frattempo, ben vengano i salti mortali, tra ferie e permessi per le gare. Appuntamenti in cui regna la confusione, tra pubblico, musica e i colpi dalle altre postazioni. “Il tiro a segno è una scuola continua: insegna come mantenere la calma e la concentrazione. Io ho imparato da solo le tecniche di mindfulness per focalizzarmi sugli obiettivi e gestire agevolmente la pressione, ma nonostante ciò devo dire che non ci si abitua mai allo stress da competizione. Si impara a conviverci, però. Il segreto è farne tante, di finali, solo così ci riesci”. Quanto ai risultati, gli ultimi ancora da record ai Campionati Italiani di Bologna, “il Responsabile Tecnico Giuseppe Ugherani è contento, siamo tutti cresciuti molto, in Nazionale e non ha bisogno di darci particolari suggerimenti al tiro, perché ce la giochiamo sul decimo e gli errori, a questo livello tecnico, sono imprecisioni".

Non solo il pensiero di Tokyo 2020, ormai dietro l'angolo, è quello che dà la carica, ma anche l'uscita a settembre del suo primo libro. “Avevo sulla punta della lingua da molto tempo, la mia storia, sentivo il bisogno di raccontarla. Sarà romanzata e in tono spiritoso, ho già firmato l'accordo con l'editore. L'ho scritto un anno fa, il libro, non avevo ancora sbancato Chateauroux, ma non sento il bisogno di aggiornarla, prima della pubblicazione. Lì c'è già tutto e va bene così”. Quante cartucce nel suo caricatore, un altro centro è fatto.

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