Tutorial Sport Paralimpici: Para Powerlifting
Tutorial Sport Paralimpici: Para Powerlifting
Dettagli della notizia
E' un rapporto bellissimo quello che c'è tra Sandro Boraschi e Il parapowerlifting, una relazione che nasce in una palestra di Savona e che si sviluppa fino ad arrivare alla nazionale che il tecnico ligure guida con passione ed entusiasmo, nella speranza che i Giochi di Tokyo di questa estate possano finalmente celebrare la rinascita dello sport mondiale.
Ed è proprio attraverso le parole del direttore tecnico nazionale che vogliamo compiere un viaggio alla scoperta delle regole, delle caratteristiche ma anche della filosofia che da sempre ha etichettato il sollevamento pesi con lo stereotipo di attività dedicata ad “uomini forti” e che invece, tra le righe, nasconde molto di più.
Tutorial Sport Paralimpici
L'intervista
“E' uno sport molto simile a quello praticato a livello olimpico, con la differenza che alla potenza il parapowerlifting privilegia la forza. Abbiamo alcune differenziazioni anche nell'attrezzatura ma il nostro sport sport è parte integrante della FIPE, una famiglia alla quale ci sentiamo profondamente legati e parte integrante”.
Le prime tracce del sollevamento pesi paralimpico si hanno a partire dal lontano 2006, da li una serie di eventi di carattere nazionale ed internazionale, con oltre 30 partecipazioni ad eventi fuori dai confini italiani tra cui la Paralimpiade di Rio - storica prima volta in questa disciplina per il nostro paese - ci hanno permesso di godere delle gesta dei vari Cattini, Telesca o Agosti, protagonisti di una disciplina che alla base presenta una struttura e numeri importanti.
In questo percorso ciò che è accaduto è stata una crescita facilitata dalla cura maniacale dei particolari: “Dobbiamo curare ogni aspetto fisico dei nostri atleti, in ogni singolo dettaglio - afferma Boraschi - perché un fisico performante è la base. Ti puoi approcciare in diversi modi alla disciplina, dal semplice wellness al top level, ma quello che contraddistingue i nostri atleti è l'essere tali al 100%: cura dell'alimentazione, sedute multiple di allenamento e altri particolari che determinano corpi possenti, quelli che spesso ci invidiano dalle altre discipline (ride ndr); ma è normale, senza forza non si riuscirebbero a fare sforzi brevi ma intensi, come quelli a cui sono chiamati chi decide di intraprendere questo percorso”.
Il parapowerlifting, oltre alla cura di questi particolari, garantisce l'applicazione della disciplina anche nel quotidiano. “E' vero, perché ti fornisce una maggiore versatilità negli spostamenti. Prova ad immaginare solo il passaggio dalla carrozzina a una sedia o sul letto, per i nostri ragazzi è un gioco semplice, complice la loro abilità nello sfruttare gli arti superiori”. Ma è anche uno sport di facile accesso “perchè in qualsiasi palestra trovi un bilanciere e una panca sulla quale iniziare ad allenarti. L'importante è avere una palestra che abbia abbattuto le barriere all'ingresso, il resto viene come naturale conseguenza. Poi c'è anche un discorso di età anagrafica che depone a nostro favore perché il massimo della forza non la ottieni subito dopo lo sviluppo ma più in la con gli anni; non a caso l'età media dei partecipanti a Rio era di 34 anni, quella dei medagliati addirittura 36 e questo ci favorisce nell'ottica di un lavoro a lungo termine”.
Facilità di accesso, cura dei particolari ma anche uno stretto rapporto con la fisica, in un gioco di leve e pesi che rende affascinante la pratica. “Parliamo di biomeccanica, studiamo traiettorie, ci interessa la velocità balistica. Il nostro lavoro è un lavoro che amo definire da artigiano perché dobbiamo individuare le caratteristiche del singolo per poi cucirgli addosso un piano di allenamento individuale, come fa un sarto con un abito su misura. E' croce e delizia del nostro sport questo aspetto, delizia perché non lavoriamo su modelli standard e croce perché quando andiamo a formare dei tecnici questi devono sapere che non avranno un manuale da imparare e applicare, ma uno studio individuale da effettuare sul singolo”.
Sport in forte crescita ed espansione, il parapowerlifting si è andato mescolando con il tessuto culturale italiano: “Da quando siamo partiti l'obiettivo della divulgazione è stato questo uno dei principio fondamentali dal quale ci siamo lasciati guidare. Volevamo esportare il messaggio e ci stiamo riuscendo. Oggi praticamente ovunque in Italia puoi praticare questo sport. Ripeto quello già detto in precedenza, una volta che elimini le barriere architettoniche nell'accesso alla palestra il grosso del lavoro è già stato fatto. Poi serve la volontà di chi lo pratica, l'impegno, la dedizione, molte rinunce, ma questi non sono ostacoli alla crescita dei nostri numeri che molti in Europa ci invidiano”.
Un fenomeno, quello del sollevamento su panca, spinto anche attraverso nuove forme di comunicazione. “I social - continua Boraschi - ci hanno permesso di farci conoscere e dare visibilità alle nostre attività. Molti ci hanno contattato e noi da parte nostra abbiamo solo dovuto indirizzarli verso le strutture che ritenevamo essere le migliori in considerazione dei bisogni e delle esigenze di ognuno. La cosa più bella è che si può iniziare anche da soli, serve molta motivazione, la stessa che in tempo di pandemia ci ha permesso di andare avanti, ognuno dentro la propria abitazione da solo ma a stretto contatto con ciò che più si ama fare. Nessuno si è lasciato andare, nessuno ha abbandonato, questo devo dire mi rende soddisfatto anche a livello umano”.
Nella lotta tra fisico e mente, scontro ancor più intenso in questo periodo di restrizioni, Boraschi dice la sua: “La fatica fisica è quella che inizialmente si percepisce dall'esterno, ma se poi vai ad analizzare una gara nella quali dopo mesi, anni di preparazione ti vai a giocare tutto in 2 o 3 secondi, allora li capisci che lo stress mentale è parte integrante del nostro mondo. Dobbiamo imparare a domarlo ma spesso quando sono in pedana insieme agli atleti capita a me di mimare l'alzata senza nemmeno rendermene conto. Figuriamoci un atleta che si gioca tutto in un tempo ridotto. Spesso ripeto ai miei ragazzi che quando arriva il momento sono soli con il bilanciere e sarà lo spostamento o meno di questo a determinare il successo o l'insuccesso della prestazione. E' così, è la bellezza di uno sport in cui fisico e mente sono componenti essenziali che camminano a braccetto”.
L'obiettivo finale rimane la voglia di andare sempre oltre i limiti, ma mai a scapito dell'equilibrio generale psico-fisico del singolo. “Bisogna lavorare sulla propria capacità di autovalutazione, essere consci delle proprie potenzialità senza necessariamente accontentarsi. A volte ci sono periodi in cui il progresso è costante, altri in cui capita di regredire. Anche qui: è motivazione, è fisico, è psicologia”. Un'esplosione di elementi, un mix di sensazione che, già dalla prossima gara, permetteranno di guardare il parapowerlifting con un occhio diverso.