Franco Tessari vive a Mestre, non molto lontano da Treviso, la culla del movimento rugbistico italiano, una terra in cui è facile respirare l'odore dell'erba e del sudore mentre si osserva qualcuno correre con l'ovale tra le mani verso una meta. Ha sempre fatto questo nella vita Franco, ha allenato ragazzi giovani e meno giovani, facendogli amare uno sport “nobile” che sempre più è andato radicandosi nel tessuto culturale italiano, arrivando giustamente anche tra le discipline offerte nel panorama paralimpico. Oggi Tessari ricopre il doppio ed impegnativo ruolo di tecnico a Padova e di Direttore Tecnico della Nazionale di rugby in carrozzina della FISPES, insegnando uno sport che il tecnico veneto definisce senza troppi giri di parole: “E' unico, uno dei pochi nel panorama paralimpico che permette lo scontro tra due atleti. E' adrenalina pura. Viene praticato da ragazzi con una disabilità grave (tetraplegici, polio, amputati, ndr) ma questo non impedisce loro di essere euforici nel cercare lo scontro e sfogare al massimo sul campo quella che è la loro carica nella vita”.
Intensità dunque che ricalca quella del rugby professionistico ma non solo, “perchè facendo tesoro delle mie esperienze passate, ho cercato di riproporre la cultura del terzo tempo anche nella nostra dimensione. Stiamo cercando di trasferire una mentalità ai ragazzi per la quale dopo la partita, qualunque sia il risultato, si sta insieme e si apprezza l'elemento della condivisione, della socialità, qualcosa che nello sport non deve mai mancare e che nella nostra disciplina è particolarmente accentuato. E' anche questo che rende il rugby così affascinante”.
A breve il rugby paralimpico festeggerà i 10 anni dalla sua nascita e oggi come allora si propone di evidenziare “quell'agonismo puro che in una competizione deve esserci. Per alcune squadre, quelle più giovani, l'elemento sociale è ancora preponderante ma dopo una fase di assestamento iniziale scatta l'elemento della competizione, con allenamenti programmati, comportamenti da atleti e tensione al risultato. Il mio approccio - prosegue Tessari - mi spinge a confrontarmi con questi ragazzi come in passato ho fatto con gli atleti normodotati che ho allenato”.
Dunque nel rugby in carrozzina, così come accade in tutto lo sport paralimpico, al di la degli adattamenti, l'approccio dell'atleta rimane la costante invariabile dello sport. “Quando si presenta un nuovo ragazzo gli sottolineo l'importanza che a livello individuale l'elemento sportivo può avere nella sua vita: sfruttare la parte fisica residua è fondamentale non solo nel compiere il gesto atletico ma anche nelle normali attività quotidiane. Fare questa cosa, appunto migliorare su un campo ed avere benefici nella vita di tutti i giorni, insieme ad altre persone è ancora più esaltante e bello. Bisogna essere determinati, attenti, vogliosi di raggiungere un obiettivo. La nuova leva - prosegue il direttore tecnico - non la facciamo subito ‘scontrare' con qualcuno che ha una fisicità e un'esperienza troppo superiori, ma lentamente costruiamo il profilo dell'atleta con piccoli miglioramenti quotidiani che convincono i neofiti a non abbandonare la disciplina una volta provata”. E se il neofita ha paura? “Gliela facciamo passare! Gli scontri con le carrozzine avvengono in totale sicurezza, i ragazzi sono legati e anche se si rovescia non succede nulla. Il nuovo che arriva deve voler stare li, provare, non avere paura del giudizio ne tantomeno della brutta figura, perché il nostro è uno sport democratico, in cui tutti sono utili”.
Ad ogni elemento viene assegnato un punteggio che va da 0,5 a 3,5, con la somma totale dei punteggi di classificazione dei giocatori presenti sul campo di gioco che non deve essere superiore a 8. Per ogni giocatore di sesso femminile schierato in campo, ad una squadra viene assegnato un extra di 0,5 punti rispetto ai canonici 8. E' questo il concetto di democraticità di uno sport dove uomini e donne gareggiano insieme e dove non è possibile utilizzare contemporaneamente tutti gli elementi con maggiore abilità residue. “L'obbligo di raggiungere un valore attraverso la somma dei punteggi di classificazione assegnati ai diversi elementi determina equilibrio; il più abile deve prendere in mano le redini della squadra, raccogliere palla e correre ma chi ha un punteggio inferiore deve usare razionalità, capire i movimenti degli altri, trovare una propria dimensione e posizione nel campo. Spesso a fare la differenza nel risultato finale sono proprio i gregari. Avere delle brave ragazze in squadra(elemento che permette al team di schierare un punteggio massimo di 8,5 anziché 8) è un altro elemento che può determinare una vittoria o una sconfitta” Uno sport dunque in cui tutti possono trovare uno spazio ed ognuno ritagliarsi un pezzo di gloria importante nella determinazione del risultato finale!
La ricerca dei talenti tuttavia non è compito semplice e Tessari prova a tracciare una linea che va in questa direzione: “Promuovere il rugby significa andare sul campo con alcuni ragazzi e mostrare cosa effettivamente sanno fare. La teoria vale poco, bisogna far toccare con mano il rugby, far capire a ragazzi che spesso vengono fuori da incidenti gravi che non si corre alcun rischio, quindi fare un lavoro importante anche nelle Unità Spinali, incentivando la pratica di questo sport meraviglioso”.
Un lavoro lungo, appena iniziato ma che secondo il direttore tecnico Tessari porterà i frutti nel prossimo futuro: “Rafforziamo la base, creiamo nuove squadre, continuiamo a collaborare con la FIR, soprattutto a livello regionale, e prima o poi riusciremo a raggiungere i livelli dei maestri inglesi e francesi, dove è normalità avere un team paralimpico anche in società professionistiche. Per i ragazzi, vestire la stessa maglia dei loro idoli, rappresenta uno stimolo a dare sempre qualcosa in più”.
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