Tutorial Sport Paralimpici: taekwondo

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Taekwondo

Millequattrocento anni di storia fanno del taekwondo una disciplina in apparenza misteriosa, imbevuta di storia, religione e misticismo, componenti che né determinano il fascino per uno sport che sembra così distante e ignoto ma che in realtà è riuscito a mettere radici in luoghi contrassegnati da una cultura profondamente diversa rispetto a quella orientale in cui è nato.

Per questo, al di là della significato letterale della parola taekwondo - “l'arte di calciare e di colpire il pugno” - la domanda che ci poniamo è: che cosa è realmente quest'arte marziale, una filosofia o uno stile di vita?

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L'intervista

Le arti marziali hanno come imprinting una filosofia molto forte alla base che determina uno stile di vita rigoroso per chi le pratica. Il taekwondo è un modello nel quale inquadrarsi, compiendo giorno dopo giorno piccoli o grandi sacrifici che permettono di andare avanti in un percorso, che chi ha il coraggio di intraprendere sa perfettamente essere contrassegnato da difficoltà, complessità che tuttavia una volta superate garantiranno un enorme senso di appagamento e felicità”. È questa la definizione che Giovanni Lo Dolce, responsabile tecnico del para-taekwondo, dà di questo sport. Dei principi formatori del taekwondo Lo Dolce né individua due che più degli altri determinano un cambiamento positivo nella vita del praticante: “Il rispetto e l'obbligo di terminare ciò che hai deciso di intraprendere. Rispetto dell'avversario e del giudice, lo dimostriamo con l'inchino che non è solo una consuetudine ma un modo di pensare; si è rivali dell'avversario e si cerca di batterlo ma alla fine ti rispetto con l'inchino e l'abbraccio, e poi quello per il giudice di gara che come essere umano può sbagliare l'interpretazione di un colpo ma non per questo deve essere colpevolizzato. Insieme a questo abbiamo l'altra componente, ossia portare a termine quello che hai iniziato: se ci pensi è un principio dello sport ma in generale anche della vita. Ecco questi due tasselli sono fondamentali non solo in una competizione sportiva ma valgono come principi fondamentali nell'esistenza di ognuno di noi”.

Un'arte marziale che, come detto in apertura, si sviluppa nel corso dei secoli in Corea e che fa breccia in tutto il mondo, Italia compresa. La vittoria di questo sport, secondo il referente tecnico sta “nella forza che queste persone hanno avuto di arrivare in paesi diversi trascinando sulla loro schiena questa cultura, le tradizioni, la loro arte marziale per poi diffonderla mostrando da un lato il taekwondo come uno sport di combattimento e dall'altro la loro serenità, la positività e propositività verso le popolazioni che li stavano ospitando. La vittoria del taekwondo è una vittoria della comunicazione, del saper trasmettere un pensiero, una filosofia usando il linguaggio del corpo e della mente”.

Arte storica il taekwondo, capace di fondersi con culture all'apparenza così diverse anche “grazie alle variazioni regolamentari intercorse nell'ultimo ventennio, tutte determinate dalla volontà di far comprendere sempre più le regole del combattimento. Prendi ad esempio l'illuminazione del corpetto, è stata un'iniziativa che permette a chiunque di mettersi davanti a uno schermo e capire le regole dello sport; c'è stato certamente un lavoro importante di sviluppo tecnico che però ha camminato di pari passo con un importante lavoro di comunicazione. E poi – continua Lo Dolce – un'attenzione particolare alle nuove leve, ai giovani e giovanissimi perché sono loro, in ogni disciplina, il futuro dello sport!”.

L'erroneo parallelismo tra sport di combattimento e violenza potrebbe creare un argine all'ingresso della disciplina? “No, sicuramente non nel taekwondo! La violenza è fuori, nella strada, all'interno della palestra ci sono regole e disciplina e sono queste le cose che possono fare la differenza nella crescita di un individuo che si approccia. Quando arriva un bambino con un genitore e vediamo le mamme o i papà un po' restii, iniziamo a parlare dell'inquadramento che riusciremo a dare all'individuo e del valore aggregante e di socializzazione che il taekwondo riuscirà a fornire. È quello il momento in cui le famiglie superano il preconcetto e ci affidano il loro bene più prezioso”.

Bambini che diventano ragazzi e poi adulti “sviluppando autostima, determinazione, elementi che negli atleti paralimpici sono elevati a potenza e che esercitano una carica positiva anche per noi istruttori. Ecco, posso raccontarti quello che riusciamo a dare loro ma potrei stare ore ad elencarti quello che danno a me perché gli atleti paralimpici non si pongono limiti e compiono dei percorsi di crescita personali incredibili. Una volta che li hai avviati, non si fermano più”.

La FITA presenta numeri importanti di tesserati e società sia a livello olimpico che paralimpico, numeri supportati anche da un elevato livello sportivo: “se aumenti i numeri ma non dai qualità non sarai in grado di fornire la dignità all'atleta, sia esso olimpico o paralimpico. Per questo - continua il DT – il lavoro che abbiamo fatto in questi anni è stato rivolto a creare tecnici altamente formati e specializzati che fossero in grado di lavorare sulla qualità del singolo

Numeri, qualità, un talento innato ma “soprattutto determinazione”, questo il mix perfetto in un atleta che “se non fa scoccare quella scintilla dentro di sé, la scintilla della determinazione, rischia di rendere vana ogni altra qualità che gli è stata data”.

Con queste premesse il taekwondo si appresta a vivere le sfide sportive del futuro, già a partire da Tokyo: “gli orizzonti del taekwondo sono ampi perché lo studio della tecnica o le migliorie tecnologiche non potranno far altro che rendere migliore questo sport e raggiungere obiettivi sempre più importanti”.

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