“Lo sai perché il tennistavolo è uno degli sport più praticati al mondo?Perché in fondo se ci pensi per giocare bastano un tavolo, due racchette, una pallina e una rete. Poi, ovviamente, potrà capitarti di stare in un palazzetto davanti a diecimila spettatori, in una palestra di una scuola o dentro casa, ma quello che rende fantastico questo sport è la facilità con cui vi si può accede”.
Inizia così il racconto di Alessandro Arcigli. Il tecnico messinese conosce in ogni suo minimo dettaglio questo sport che nella storia italiana ha portato medaglie e riconoscimenti importanti sia a livello olimpico che paralimpico. Per questo c'è la voglia di ascoltare ogni virgola delle sue parole.
Il Direttore Tecnico della nazionale paralimpica della FITET lo definisce quasi poeticamente come “una partita di scacchi mentre fai una corsa di 100 metri”, a testimonianza del fatto che “il tennistavolo non è assolutamente uno sport statico come molti pensano, perché abbina concentrazione a movimenti rapidi, rendendo la disciplina assolutamente dinamica a dispetto degli enormi preconcetti che spesso aleggiano intorno al nostro sport”.
A livello paralimpico, con le sue 11 classi, il tennistavolo “apre le porte alle persone che presentano una qualsiasi disabilità, garantendo a tutti una giusta collocazione. Ognuno - continua Arcigli - nell'ambito della propria classificazione, parte dallo stesso punto di partenza dell'avversario ed è proprio il modo particolareggiato e preciso con cui vengono effettuate le classificazioni che ne determina il successo e il grande seguito”.
Probabilmente è questa la forza di una disciplina che rappresenta il terzo sport per numero di praticanti a livello mondiale in seno all'IPC, ma non è solo questo il segreto di una formula vincente: “Il punto forte è la reale e totale integrazione che viene garantita in fase di allenamento e di gare tra atleti disabili e normodotati; gli allenamenti possono essere svolti insieme e a farla da padrone sono le abilità tecniche di ognuno, non quelle residue e questo ha garantito negli anni il facile accesso e la totale fusione tra il mondo olimpico e quello paralimpico. Non a caso è successo più e più volte che atleti paralimpici si siano imposti in gare riservate ad atleti normo o che vengano inseriti nei ranghi delle squadre che partecipano ai massimi campionati nazionali. Non dobbiamo creare un'attività adattata ma adattare l'attività al capitale umano che abbiamo a disposizione”, un rovesciamento di pensiero e prospettiva “che permette di inserirci in realtà già strutturate e ciò rappresenta un altro tassello alla base dei successi in ambito internazionale che negli anni stiamo raccogliendo con orgoglio”.
Una base importante che viene integrata secondo Arcigli in maniera perfetta anche “dalla capacità della federazione di rendere comunicanti i vasi tra l'universo olimpico e quello paralimpico anche sotto l'aspetto dirigenziale, tecnico, a livello di arbitri e strutture. Insomma - conclude il concetto il DT - il tennistavolo è uno e uno soltanto!”.
Un processo di crescita, quello sviluppato dalla FITET, dovuto anche “al lavoro importante di reclutamento che effettuiamo all'interno delle scuole”. Il progetto TennisTavolOltre, lanciato dalla Federazione su scala nazionale “ha permesso a quasi ventimila studenti di cento istituti in sedici diverse regioni italiane di entrare in contatto con la pratica, con l'obiettivo finale non solo di garantire una piena integrazione alla persona disabile, ma di creare una reale cultura tra gli alunni, i dirigenti scolastici, i professori e le famiglie”.
Non a caso, nei suoi insegnamenti all'Università di Messina, Alessandro dedica “la prima lezione alla cultura paralimpica, perché rappresenta le fondamenta per concepire lo sport come un mezzo potentissimo in grado di creare un mondo che sia veramente a portata di tutti. Pensaci bene, se una città è a misura di disabile per forza deve essere calzante per ognuno di noi. Il concetto di cultura apre le strade all'analisi dei nostri atleti come testimonial, punti di riferimento che sempre più le nuove generazioni utilizzano nella costruzione del proprio personale parco valoriale. I risultati in questi ci supportano, perché ovviamente vincere aiuta a diffondere”.
Equilibrio, bilanciamento, riflessi, sono tutte caratteristiche che il tennis tavolo sviluppa a livello cognitivo e motorio nello svolgimento della pratica “ma credimi, quello che loro apprendono sul campo poi lo riportano nella vita quotidiana. Ciò che facciamo è permettere ad ognuno di considerare una carrozzina o una protesi non come un nemico, bensì compagna di vita. Spesso gli atleti migliorano le loro capacità con l'allenamento ma il passaggio fondamentale sta nella consapevolezza che assumono: se devo spingermi in avanti con una carrozzina per prendere una penna ho paura di cadere e non la faccio, ma se devo raccogliere una pallina che sta rimbalzando nel mio campo dando il punto decisivo all'avversario mi allungo per prenderla; ecco, dopo questa esperienza, il giorno che ricadrà nuovamente una penna a terra non avrò paura di sporgermi, perché so che ce la potrò fare!”.
Dove si impara il tennistavolo? “Ovunque! Ma la cosa importante è partire dal concetto di gioco. E' uno sport facile a livello di iniziazione, quello su cui dobbiamo ancora migliorare è mettere in luce i punti di forza”.
Già, i punti di forza, quelli che Arcigli nota subito in un nuovo atleta che vuole iniziare questo lungo viaggio alla scoperta del tennistavolo: “Capacità coordinative, destrezza oculo manuale ma anche una cosa innata: anticipare la giocata. E' un pò come quando in una partita di calcio c'è un rigore, se il portiere guarda la palla non riuscirà mai a pararlo, deve guardare il piede e lo stesso accade nel nostro sport, perché se guardi la pallina potrai solo raccoglierla a terra. Capire senza vedere è una dote che possiamo allenare, ma di base devi averla innata dentro di te”.